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Il bombardamento del 15 marzo 1944 su Cassino
La devastazione di Venafro fu un tragico errore di
molti bombardieri alleati
“I soldati alleati non esitarono a puntare le loro armi
contro i mostri del cielo”
di
Giovanni Petrucci

Il centro storico di Venafro dopo i
bombardamenti |
Nel filmato Montecassino, di
Marina Basile con consulenza storica di Giovanni Sabbatucci,
trasmesso l’anno scorso nel terzo programma, rileviamo un’attenta
ricostruzione degli eventi che portarono alla distruzione della
città di Cassino e a quella completa del Monastero.
Qualche particolare, però, appare tralasciato circa il bombardamento
del 15 marzo 1944: il tragico errore che coinvolse la cittadina di
Venafro. È vero che esso viene riportato nei testi di storia, ma in
genere è trascritto con scarso rilievo.
È opportuno ricordare che agli inizi del mese di febbraio 1944 i
Francesi acquartierati in vari centri intorno al territorio di S.
Elia Fiumerapido, all’ala destra della linea Gustav, avevano ben
compreso che la battaglia si sarebbe protratta ancora lungamente;
per questo motivo cominciarono a far capire alle popolazioni che
avrebbero dovuto lasciare le loro case. L’invito si trasformò in
ordine perentorio dopo la distruzione dell’Abbazia del 15 febbraio
ed esse dovettero eseguirlo. Furono allontanate tutte le famiglie
dai ricoveri dei monti e delle campagne a nord di Cassino e
trasferite a Venafro.
Molti civili, approfittando dello scarso controllo del Centro di
Smistamento di S. Chiara di questa città, dove confluivano, non
volendo allontanarsi troppo dalle terre di origine, con la
comprensione e complicità delle guardie civili, fuggivano di notte e
riuscivano a trovare provvisorio rifugio in case di fortuna, in
tuguri, in cantine ed anche in stalle, o in masserie lontane.
Durante la terza battaglia, l’operazione “Dickens”, che durò una
settimana, ci fu un nuovo attacco frontale a Cassino e da nord al
Monastero. Lo stesso Clarck ebbe a dichiarare che il piano non aveva
grandi probabilità di riuscita e Juin invano andava ripetendo che
insistere in una tale lotta, significava inseguire una illusione
pericolosa1.
Il 15 marzo un bombardamento a tappeto e il fuoco contemporaneo
dell’artiglieria completarono la distruzione della città e del
Monastero, mettendo fuori uso tutte le armi pesanti tedesche: «Su
Cassino e sulle immediate vicinanze, un’area di circa 400 x 1.400
metri, vennero sganciate 1.250 t. di bombe ad alto esplosivo»2; «Il
rapporto tra gli ordigni e i difensori della città fu di circa
quattro tonnellate per ogni paracadutista di presidio ...»3; «500
aerei, dei quali 300 bombardieri pesanti, sganciarono su Cassino
oltre 1000 tonnellate di bombe, durante l’incursione durata tre ore
e mezza. Le bombe, naturalmente, distrussero la martoriata città.
Altrettanto naturalmente vi furono delle vittime per errori commessi
dai bombardieri: alcune bombe4 caddero su Venafro, uccidendo 140
civili italiani; altre piombarono sulle linee alleate anche molto
arretrate, causando perdite sugli addetti all’artiglieria; altre
ancora centrarono il comando dell’8a Armata e il carrozzone dove
abitualmente si tratteneva il generale Leese che, per fortuna, in
quel momento era assente.
A mezzogiorno in punto il bombardamento aereo ebbe termine e 610
cannoni aprirono il fuoco...»5.
Purtroppo durante questo bombardamento ci fu il fatale grossolano
errore accennato: verso le ore 9,30 una formazione di fortezze
volanti scambiò monte Santa Croce sotto cui è arroccata la città di
Venafro, per Montecassino e Cassino e lanciò il suo carico micidiale
di bombe; una seconda, vedendo il fumo e ritenendo che quello fosse
il bersaglio, ne seguì l’esempio; e così altre ancora per non meno
di mezz’ora6.
Fu una scena apocalittica: venne colpita la zona nord della
cittadina, «quella che da Portanova va verso l’antica cattedrale e
si adagia sulle pendici del monte, tra gli orti verdeggianti e gli
agili campanili delle Chiese di Cristo e dell’Annunziata, Chiese che
custodivano le memorie più care del popolo venafrano»7.
Gli aerei colpirono «un ospedale militare marocchino uccidendo o
ferendo quaranta soldati. Quarantaquattro vittime vi furono fra le
artiglierie alleate. E... un grappolo di bombe colpì il Comando
dell’8° Armata, sfasciando il carrozzone del Comandante: per fortuna
il generale Leese in quel momento non c’era. Per i soldati in attesa
nelle zona vicina al bersaglio fu uno spettacolo tanto pericoloso
quanto impressionante»8.
Il grave errore generò un senso di raccapriccio non tanto tra gli
sfollati, abituati agli imprevedibili tradimenti aerei, quanto tra i
soldati alleati9, che non esitarono a puntare le loro armi inadatte
contro i mostri del cielo10.
«Rammentiamo il sinistro rombo» continua Giovanni Atella «dei
quadrimotori che sorvolavano la nostra città e si allontanavano ad
oriente, al di là delle montagne in cui era Montecassino.
Poi si udivano sordi boati, indicanti che gli aerei si erano
liberati del loro carico di bombe.
Interminabili file di cadaveri, coperti pietosamente da lenzuola, si
allineavano per le piazze e nei cortili dei palazzi... »11.
Le vittime 12 di cui abbiamo notizie documentate sono un centinaio,
ma dovettero essere più numerose, considerando i paesi disseminati
lungo la linea aerea che univa Venafro a Cassino e specialmente
l’esercito anglo-americano: in verità di queste sono stati fatti
vaghi accenni, ma nessuno ha mai parlato apertamente del loro
numero!
E dire che gli sfollati vennero sorpresi proprio lì dove non
sentivano più il boato delle esplosioni e credevano di aver trovato
asilo sicuro; e che «dopo i bombardamenti di ferragosto del ’43 fu
messa da parte la teoria dell’«Area-bombing» per dare il via ai
cosiddetti bombardamenti di precisione «selective-bombing», voluti
dai generali della U.S.A.A.F. (United States Army Air Forces) Carl
Spaatz, Ira Eaker e Jmmy Doolittle...».13
Riportiamo la testimonianza di un ufficiale dell’esercito del Corpo
di Spedizione Francese in Italia, R. Derennes, che allora si trovava
proprio nella cittadina molisana, e descrive gli avvenimenti come
accaddero, e ai quali fu presente anche chi scrive.
«Io mi trovavo allora a Venafro, dove era l’alto Comando francese
del generale Juin, piccolo villaggio arroccato alla falda di un
monte, assai simile a quello di Cassino, ma privo di due elementi
essenziali: della strada per Roma e del Monastero. Non era strano,
dopo un po’ di tempo, sentire le formazioni aeree passare e tornare
qualche minuto più tardi. Andavano a bombardare a tappeto la
montagna.
Ma, Dio mio, chi mai ci avrebbe predetto un simile accadimento quel
giorno? Ciascuno attendeva secondo le abitudini alle sue
occupazioni. Al Quartier Generale di Artiglieria, comandato dal
generale Chaillet, noi eravamo in agitazione febbrile: i pezzi da
155, in dotazione al mio reggimento, il R.A.C.L., comandato dal
colonnello Mussonnier, con una gittata di 25 Km, dovevano prendere
parte nei dintorni delle alture di Sant’Elia Fiumerapido,
all’operazione stabilita. Noi sapevamo in effetti che dalle otto a
mezzogiorno, ad ondate, milleduecento apparecchi dovevano bombardare
Cassino e, nello stesso tempo, a noi e all’artiglieria alleata
spettava entrare in azione.
Sarebbe potuta essere una vittoria, ma non fu che una spaventosa
rovina, una tragedia. La valle che si estende da Venafro a Cassino,
lunga una quindicina di chilometri, stava per diventare in queste
quattro ore il luogo di una incredibile ecatombe.
Le bombe destinate ai Tedeschi caddero proprio su di noi; notate
bene che esse piovvero su tutti, senza distinzione, bisogna essere
giusti, per prima sui Francesi alla destra, poi sulle artiglierie e
sulla fanteria inglesi, neozelandesi, polacche e sugli stessi
Americani... Ne restarono poche per i nemici!
Le prime ondate, tra le quali quelle di numerose fortezze volanti,
si sbagliarono e vuotarono i loro carichi su Venafro, incendiando la
cittadina; le altre, arrivando a distanza di un quarto d’ora,
vedendo il fumo, ritenevano che quello fosse il bersaglio e
sganciavano altre bombe. Alcune ondate, però, si diressero
ugualmente su Cassino in quanto senza dubbio i piloti conoscevano
bene il territorio. Ma perché, d’altra parte, ebbero bisogno di
bombardare, di sommergere con i loro proiettili devastanti tutta la
valle del Liri, dove avevano preso posizione le stesse truppe
alleate? Non lo sapemmo mai, perché occorreva nascondere presto un
simile scandalo. Il bombardamento cessò come previsto a mezzogiorno,
ma poiché le truppe che dovevano passare all’attacco erano state
decimate, l’assalto non ebbe luogo.
Mi ricorderò sempre della collera del Maggiore inglese, ufficiale di
collegamento presso il nostro Stato Maggiore: mostrava i pugni agli
aerei, muovendosi nervosamente dalla soglia della casa al centralino
telefonico, di cui le unità inquiete si servivano continuamente per
cercare di avere dei ragguagli su ciò che stava accadendo, e
soprattutto di sapere la ragione di questa carneficina e se ci si
preoccupava di fermare questa inverosimile svista. Il tenente
americano era scomparso per la vergogna fin dall’inizio, torcendosi
le mani per la disperazione. Noi non potevamo che ripetere, con la
profonda convinzione che ci dava la nostra impotenza: «Ah,
mascalzoni!». Gli Italiani, presi dal panico, scappavano sulle
montagne, cercando un illusorio ricovero. Le persone in difficoltà
di muoversi, dimentiche dei vicini, si muovevano come impazzite,
volendo fuggire all’inferno, riparandosi sotto i portoni, dove
sentire i ronzii che segnalavano l’arrivo di ondate successive, e
scappavano di nuovo, come potevano, volendo trovare una sorta di
salvezza, la vita.
Certi sogghignavano: «Americani, Americani»! sì, Americani: e noi
eravamo impotenti! Le formazioni arrivavano in ordine perfetto e a
rilevante altezza; ma quali erano le loro basi? la Sicilia, Malta,
la Tunisia, l’Algeria, i dintorni di Napoli?... Volteggiamenti
tragici, di cui noi pagavamo le conseguenze ed il cui organizzatore
era per noi intoccabile: alcuni di questi aerei erano a molte ore di
volo dalle loro basi.
Non appena cadute le bombe, uscivamo dai nostri ricoveri, sapendo
che avevamo una decina di minuti per le prossime. Ci affrettavamo a
soccorrere i feriti; all’ospedale di Venafro regnava il caos. Le
case vecchie sprofondarono al suolo, come castelli di carta, in
nuvole di polvere accumulatasi negli anni e in mezzo alle fiamme.
Le formazioni spuntavano da lontano; si aspettava di vedere quando
si separavano le squadriglie per precipitarci nelle cantine o nei
ricoveri; se gli aerei non sganciavano le bombe sopra di noi,
sapevamo che esse erano destinate ad obiettivi molto più lontani.
Era pericoloso quando i portelloni si aprivano molto prima di
giungere sulle nostre posizioni.; le bombe si vedevano chiaramente
discendere. La nostra difesa contraerea era muta, non poteva
sparare. Quale furore si era impadronito dei nostri artiglieri, dal
momento che non potevano dare loro una lezione! Avremmo potuto
colpirli, o almeno vedendo che tiravamo contro di loro, poteva
accadere che...! Ci nauseò di più vedere gli addetti del servizio
cinematografico dell’Armata americana, appartenenti al nostro C.E.F.,
filmare questa miseria, sollevando il sudario che nascondeva i
morti, denigrando gli infelici che piangevano sui loro cari! Con
quale finalità di propaganda, se quella era stata una triste
testimonianza di inettitudine? Dopo qualche tempo ci furono delle
decorazioni, che toccarono... e con quelle la dimenticanza»14. |
Dai Registri di Morte di Venafro.
Cassino: 1) Bianchi Aldo, 2) Del Greco
Lavinia, 3) Del Greco Maria, 4) Falese Franca, 5) Garneno Anna, 6)
Garneno Angela Maria, 7) Garneno Giovanni, 8) Garneno Renato, 9)
Farina Maria, 10) Natale Anita, 11) Sierchio Filomena.
Isernia: 1) Di Lemme Mario.
Picinisco: 1) Rossi Silvio, 2) Valente Giuseppina.
S. Elia Fiumerapido: 1) Fortuna Michela, 2) Iaquaniello
Angela, 3) Pacitti Maria Giuseppa, 4) Palombo Antonia, 5) Pomella
Amedeo, 6) Vece Maria, 7) Pacitti Benedetta e tutti i figli elencati
di seguito, 8) Di Cicco Antonietta, 9) Di Cicco Pasqualina, 10) Di
Cicco Rocca, 11) Di Cicco Giovanni, 12) Di Cicco Giovanni Battista
13) Di Mambro Filippa, 14) Palombo Maria.
Vallerotonda: 1) Di Meo Giuditta, 2) Niro Lidia, 3) Salvatore
Carmela.
Valvori: 1) Di Mascio Alfeo, 2) Di Mascio Arturo, 3) Di
Mascio Concetta, 4) Di Mascio Domenica Edvige, 5) Di Mascio Edvige,
6) Di Mascio Gina, 7) Di Mascio Gino, 8) Di Mascio Gino, 9) Di
Mascio, 10) Di Mascio Luigi, 11) Di Mascio Osvaldo, 12) Di Mascio
Rosa, 13) Di Mascio Virginia, 14) Fella Glorioso, 15) Fella Maria,
16) Fella Silvano, 17) Fella Ubaldo, 18) Gallone Aristide, 19)
Gallone Elisa, 20) Gallone Genoeffa, 21) Notarianni Italia 22)
Notarianni Lucia, 23) Notarianni Olga; sembra che di Valori erano
anche 24) Tomasso Maria Vincenza (m. 26.02.1943), 25) Gallone Mario
(m. 30.07.1944).
Venafro: 1) Antonelli Domenico, 2) Antonelli Maria Giuseppa,
3) Auletta Giuseppe, 4) Bianchi Aldo, 5) Bianchi Carmine, 6),
Borrelli Pasqualina, 7) Buono Maria Michela, 8) Cascardi Vincenzo,
9) Campopiano Giovannina, 10) Campopiano Nicolina, 11) Caramanna
Carmelina, 12) Caramanna Rosaria, 13) Catania Domenico, 14) De
Pascale Luigia, 15) Ferreri Maddalena, 16) Fusco Pietro, 17)
Giannini Alessandra, 18) Giannini Francesca, 19) Iannacone Concetta,
20) Marinelli Giuseppina, 21) Mascio Antonio, 22) Matteo Gino, 23)
Migliarino Gennaro, 24) Natale Anita, 25) Nolasco Petrina, 26)
Palazzo Anita, 27) Palazzo Immacolata, 28) Palazzo Maria, 29)
Palazzo Nicandro, 30) Palumbo Daria, 31) Pannunzio Rosa, 32)
Perrella Luigi, 33) Ricchiuto Alessandra, 34) Ricci Marciano, 35)
Rucco Nicandro.
Totale n. 91 vittime. |
1 Foges A., La Campagne d’Italie 1943-44, 1972,
Montpellier.
2 Rudolf Bohmler, Cassino, una vittoria di Pirro, in “Storia della
Seconda Guerra Mondiale”, Milano, 1967, p. 434.
3 Alessandra Argenio, La guerra in Italia: Linea Gustav (1943-44),
in “Linea Gustav: un percorso culturale”, Roma, 2005, p. 76.
4 Non furono alcune, ma molte, come si evince dalle documentazioni
riportate in appresso.
5 Arrigo Petacco, Storia della Seconda Guerra Mondiale, Bologna,
1979, p. 1522.
6 Chi racconta sentì i primi boati in via Napoli, al Comando
Francese, e raggiunse a piedi palazzo Ferri, da dove poté osservare
la scena raccapricciante.
7 Atella Giovanni, C’era una volta Venafro, Venafro, 1983, p. 19.
8 Majdalany F., ibidem, pag. 205.
9 Berteil L., op. cit., pag. 53: “Malgré la distance, nous n’étions
pas très rassurés, car certaines salves semblaient manquer les
objectifs de plusieurs kilomètres. Nous avions d’ailleurs raison d’être
inquiets car le soir nous apprîmes qu’une de ces formations avait
confondu la vallée de la Rava avec celle du Rapido, bombardé Venafro
où était le quartier général du C.E.F. e notre base arrière à
Pozzili... Lorsque l’on fit remarquer aux Américains que le «leader»
de la formation s’était trompé de plus de dix-sept kilomètres, ils
firent gravement observer que ces avions venaient de Marrakech, à
plus de trois mille kilomètres et qu’une erreur portant sur un deux
centièmes de distance, si elle était regrettable, restait tout à
fait dans les normes”.
10 Chi scrive fu testimone quando, all’interno del giardino del
palazzo Ferri, a Venafro, gli stessi soldati americani spararono con
le loro carabine Winchester contro le «fortezze volanti», che si
abbassavano in picchiata sulle abitazioni.
11 Atella Giovanni, C’era una volta Venafro, Venafro, 1983, p. 19.
12 Ringraziamo di cuore il rag. Giovanni De Luca, dell’Ufficio
Anagrafe di Venafro, che ci ha permesso cortesemente di consultare i
registri di morte; dai quali traiamo l’elenco delle vittime
riportato appresso.
13 Pistilli E., «Uno sguardo retrospettivo L’Immane tragedia del
secondo conflitto mondiale e le responsabilità dei protagonisti.
Errori ed omissioni degli storici» in “Studi Cassinati”, IV n. 3
(luglio-settembre 2006), p. 164.
14 R. Derennes: Il triste episodio di Cassino del 15 marzo (Una
testimonianza, un riconoscimento ai Polacchi e al C.E.F. troppo
spesso dimenticati), “Bulletin de Liaison du C:E.F.I.”, n. 111,
pagg. 31-33. Il testo originale in lingua francese sarà allegato
alla versione on-line di Studi Cassinati sul sito web:
www.cassino2000.com/cdsc/studi.
Il testo originale in lingua francese è allegato alla versione
on-line di Studi Cassinati |
Il bombardamento del 15 marzo 1944 su Cassino
La devastazione di Venafro fu un tragico errore di
molti bombardieri alleati
“I soldati alleati non esitarono a puntare le loro armi
contro i mostri del cielo” |
R.
Derennes,
IL Y A 44
AN: UN ÉPISODE DE CASSINO
Ceci est
un témoignage, un hommage aux Polonnais et au CEF, trop souvent
oubliés
(Bulletin de Liaison du C.E.F.I,
n. 111, pag. 31 - 33. documents) |
C’était en
1944, en Italie. Depuis déjà de longs mois. Les troupes alliées
piétinaient devant le monastère - forteresse (croyions-nous) de
Cassino. L’hiver avait été rude pour nos troupes, surtout chez nous
Français, dont le corps expéditionnaire était composé en grosse
majorité d’éléments de troupes coloniales et nord-africaines, dont
de nombreux pieds-noirs venus défendre la métropole.
Musulmans,
Juifs ou Chrétiens, qui furent les compagnons de nos combats, restés
si nombreux dans les Djebels tunisiens, dans les Abruzzes des
Apennins, sur les bords du Volturno ou du Garigliano, le long de nos
routes, ou en Allemagne, les mêmes ou leurs descendants, que la
France pour les en remercier, vingt ans plus tard, leur fera grief
d’exister, de vouloir vivre et mourir Français, les abandonnera, les
trahira, les assassinera, ou les livrera à un fanatisme aveugle,
comprenez leur amertume, c’est court pour oublier et être devenus
des parias.
Enfin le
printemps s’annonçait et le grand quartier général semblait décidé à
forcer la route de Rome, quitte à y mettre le prix.
J’étais alors
à Venafro, quartier général français, (général Juin), petit village
accroché au flanc de la montagne et assez ressemlant à celui de
Cassino, quoiqu’il y manquait le principal . la route de Rome et le
monastère. Il n’était pas rare, depuis quelques temps, d’entendre
des formations aériennes passer, et revenir quelques minutes plus
tard; elles allaient pilonner le mont
Mais, grand
Dieu, qui nous aurait prédit pareille chose ce jour-là? Chacun
vaquait selon ses habitudes à ses occupations. Au Q.G. de
l’artillerie (général Chaillet) nous étions fébriles, les pièces de
155 long, dotation de mon régiment le R.A.C.L. (Colonel Mussonnier)
portant à 25 kms, devaient prendre part des environs du Mont San
Elia, à l’opération montée. Nous savions en effet, que de huit
heures à midì, par vagues, douze cents appareils devaient bombarder
la ville et, entre temps, à nous et à l’artillerie alliée d’entrer
en action.
Cela aurait pu
être une victoire, ce ne fut qu’un affreux gâchis, une tragédie. La
vallée qui s’étend entre Venafro et Cassino distant d’une quinzaine
de kilomètres, allait devenir en ces quatre heures le lieu d’une
incroyable hécatombe.
Les bombes
destinées aux Allemands, c’est nous qui le reçûmes; remarquez bien
qu’il y en eut pour tout le monde, il faut être juste, les Français
les premiers, sur la droite, puis les artilleries et les infanteries
anglaises, néo-zélandaises, polonaises et même américaines... il en
resta même quelques-unes pour les Allemands!!!
Les premières
vagues (parmi lesquelles de nombreuses fortesses volantes) se
trompèrent et lâchèrent leurs charges sur Venafro, incendiant le
village, les autres, arrivant de quart d’heure en quart d’heure,
voyant la fumée, se figuraient que la cible était là, et de nouveau
les bombes tombaient. Certaines vagues allèrent quand même jusque
sur Cassino (sans doute les pilotes habitués du secteur). Mais
pourquoi d’autres éprouvèrent-elles le besoin d’arroser, de noyer
plutôt de leurs pruneaux dévastateurs toute la vallée du Liri, où
avaient pris position les troupes alliées? nous ne le sûmes jamais,
car on étouffa vite un semblable scandale, le bombardement cessà
comme prévu à midi, mais comme les troupes qui devaient passer à
l’attaque avaient été décimées, l’assaut n’eut pas lieu.
Je me
souviendrai toujours de la colère du major anglais, officier de
liaison à notre E.M.; il montrait le poing aux avions, marchant
nerveusement du seuil de la maison au téléphone, dont les unités
inquiètes se servaient continuellement pour essayer d’avoir des
renseignements sur ce qui se passait, et surtout savoir le pourqoi
de cette boucherie, et si l’on s’occupait de faire arrêter cette
invraisemblable méprise. Le lieutenant américain, honteux, avait
disparu dès le début en se tordant les mains de désespoir. Nous,
nous ne pouvions que eépéter avec la profonde conviction que nous
conférai notre impuissance, «ah, les salauds». Les italiens pris de
panique, s’enfuyaient dans la montagne, cherchant un illusoire abri.
Les impotents, oubliés des jeunes, se traînaient, voulant échapper à
l’enfer, rentrant sous un porche aux vrombissements signalant
l’arrivée des suivants, et repartant cahin-caha, voulant, eux aussi,
gagner un semblant de sécurité, la vie.
Certains
ricanaient «Américains, Américains», oui, des Américains; et nous ne
pouvions rien. Les formations venaient dans un ordre parfait et à
assez haute altitude, mais quelles étaient leurs bases? la Sicile,
Malte, la Tunisie, l’Algérie, les environs de Naples?...
tournoiements tragiques dont nous faisions les frais et dont
l’ordonnateur nous était intouchable (certains de ces appareils
étaient à des heures de leurs bases).
Sitôt les
bombes tombées nous sortions de nos abris, sachant que nous avions
dix minutes en attendant les prochaines. Nous nous dépêchions de
secourir les blessés, l’hôpital de Venafro était en feu. Les maisons
vétustes s’effondraient comme des châteaux de cartes dans des nuages
de poussière déposée par les ans et des flammes.
On les voyait
pointer au loin; on attendait de voir se détacher les chapelets pour
se précipiter dans les caves ou les abris, si les avions ne les
larguaient qu’au-dessus de nous, nous savions qu’elles étaient pour
beaucoup plus loin, le dangereux c’était lorsque les soutes
s’ouvraient bien avant d’arriver sur notre position, on les voyait
nettement descedre. Notre D.C.A. était muette, ne pouvant tirer.
Quelle fureur devait animer les canonniers de ne pouvoir leur donner
une leçon. Nous aurions pu les toucher ou tout au moins voyant qu’on
leur tirait dessus, peut-être que...! Ce qui nous écoeura les plus,
ce fut de voir les militaires du service cinématographique de
l’Armée Américaine, attachés à notre C.E.F., filmer cette misère,
enlevant le suaire recouvrant les morts, repoussant les malheureux
qui pleuraient sur les leurs. A quelle fin de propagand? Si encore
cela avait été un témoignage. trav
A quelques
temps de là, ce furent des décorations qui tombèrent... et avec
elles, l’oubli.
Aujourd’hui,
sur les flancs du Mont-Cassin, existe le cimemetière Polak,
ce sont eux qui, en définitive, enlevèrent ce noeud (général
Wladislas Anders) aprè trois jours de combats à l’arme blanche; j’ai
vu dernièrement un grand nombre de Polonais s’y recueillir, en
souvenir du sacrifice des leurs, et d’une certaine conception du mot
liberté.
Le monastère,
de nos jours reconstruit, fut en trois mois de déluge de fer et de
feu, entièrement détruit; seul-le village avait été fortifié et les
combats, à l’attaque, se poursuivirent dans les souterrains qui
menaient du village au monastère. Pendant ce temp, nos goumiers et
nos forces fonçaient à travers la montagne et rejoignaient la route
de Rome, plus au nord. Arrivés en premier aux portes de cette ville,
nous reçumes l’ordre impératif de stopper. Les Américains
devaient entrer les primiers, nous volant à moitié notre
victoire. Peut-être, au fond, n’eût-il pas été bon que la Ville
Eternelle voit fouler en premier, son sol par une troupe
musulmane. Nous la traversâmes le lendemain, sous une ovation
enthousiaste qui nous réchauffa le coeur.
Lors de la
célébration de la victoire à Londres, il y eut un grand défilé
auquel participèrent les soldats de tous le pays qui s’étaient
battus contre l’Allemagne.
Les Polonais
refusèrent d’y paraître.
Le Général
Sikorski, Chef du gouvernement et de l’armée Polonaise en exil et
également de l’Armée Krajonva (armée de l’intérieur) rompit
toute relation avec Staline à la suite de la découverte du charnier
de Katin, où tous le cadres de l’armée Polonaise, prisonniers des
Soviétiques furent exterminés à la mitrailleuse par milliers, ainsi
disparaissait l’élite de la Nation.
Ni les
survivants ni les morts de ces combattants d’Afrique et d’Italie ne
purent rentrer dans leur pays, coupables de ne pas avoir fait la
guerre rouge; il sont restés... en exil. |
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